Come cresce la popolazione umana (ma la tendenza si sta invertendo) e l’impegno di risorse del Pianeta per sfamarla, così la popolazione degli animali da compagnia alimentati dall’industria del petfood produce un impatto ambientale crescente. Soprattutto in questa fase, visto che durante la pandemia sono cresciute le adozioni di animali d’affezione e in gran parte si sono confermate anche successivamente. Dati che pongono il problema della ricerca di alternative più ecologiche, proprio come si sta già facendo per l’alimentazione umana.
Quale impatto ambientale per il petfood? I dati
Rispetto al numero di animali da compagnia, le stime 2022 parlano di 471 milioni di cani e 370 milioni di gatti, una popolazione in continuo aumento. Cresce di conseguenza la produzione di petfood che ha toccato a livello globale un giro d’affari di 102,6 miliardi di dollari.
Per produrre petfood secco si impiegano dai 41 ai 48 milioni di ettari di terra, due volte la Gran Bretagna; le emissioni annue sono stimate tra i 56 e i 151 milioni di tonnellate di Co2, pari a una percentuale tra 1,1% e 2,9% delle emissioni globali attribuite all’agricoltura. I dati della ricerca sono dell’azienda olandese Barentz, pubblicati dalla stampa tedesca.
A pesare sull’ambiente è soprattutto la produzione di carne, quindi l’allevamento e l’alimentazione degli animali da macello, e una parte consistente anche del petfood utilizza la carne o comunque gli animali (prodotti Abp, ovvero animal-by-products). In parte l’industria petfood usa gli scarti della produzione umana, e quindi non ha lo stesso impatto del prodotto per l’uomo, ma comunque contribuisce al profitto dell’industria della carne e quindi alla sua proliferazione. Proprio come sta già avvenendo per l’alimentazione umana, è probabile che la quota di Abp si riduca progressivamente e allo stesso tempo, che l’industria della carne diventi più ecologica.
Carne e alternative per il petfood
Una ricerca di Muller del 2016 evidenzia gli allergeni più comuni tra i nostri pet, quelli che causano eruzioni cutanee, e le proteine animali hanno un ruolo importante. Dunque ridurre queste componenti dovrebbe aiutare anche a mantenere la salute degli animali da compagnia. Ecco gli allergeni più diffusi, con le percentuali.
Per il cane:
-manzo 34%
-latticini 17%
-pollo 15%
-agnello 14,5%
-grano 13%.
Per il gatto:
-manzo 18%
-pesce 17%
-pollo 5%
-grano e latticini 4%
-agnello 3%
Trend vegano, bio, naturale, sostenibile…
Anche il petfood è influenzato dai trend derivati dall’alimentazione umana: naturale, biologico, sostenibile, vegetariano, vegano. Le stime vedono per l’industria del petfood biologico una crescita fino a 9,1 miliardi di dollari nel 2028 (nel 2020 erano 4,9 miliardi). Il petfood vegano nel 2028 arriverebbe a 15,6 miliardi di dollari (dai 9,6 miliardi del 2020). Un trend emergente per noi è il flexitarianesimo, ovvero la riduzione, ma non eliminazione, della carne e delle proteine nella dieta: potrebbe essere applicata anche ai pet.
Proteine vegetali per il petfood
Questi numeri hanno già spinto l’industria a inserire sempre più proteine di derivazione vegetale nel petfood. Per esempio mais, grano, soia, riso, piselli, patate, girasole, o i nuovi ingredienti proteina unicellulare (estratte da alghe, batteri, funghi, lievito) e la proteina di Lemna (alghe, il nome popolare è lenticchia d’acqua). Ciascun ingrediente ha specifiche indicazioni per la salute dei pet. Il riso per esempio si usa per le diete ipoallergeniche e per i cuccioli; il riso per cibi senza grano e senza glutine, più digeribile, come anche la patata, scelta anche per il profilo amino-acido.
Le proteine di tipo nuovo: quelle unicellulari, si prestano a petfood ipoallergenico senza grano per esempio, quelle da Lemna contengono Omega-3 e aiutano il sistema immunitario e la cura del mantello e della pelle degli animali.
Soluzioni che l’industria comincia a esplorare, e che probabilmente vedreo anche nei nostri negozi.